Il regista e produttore Ario Avecone ci parla di “Vlad Dracula il musical”, una versione moderna che strizza l’occhio alle trasposizioni cinematografiche
Tra gli spettacoli più attesi della stagione 2022/2023, Vlad Dracula il musical ha debuttato in prima assoluta a Salerno ed ora è in tour fino a inizio aprile.
Ario Avecone, autore e regista dello spettacolo – insieme a Manuela Scotto Pagliara e Simone Martino – ha dato nuova linfa al celebre romanzo di Bram Stoker, rendendo più “umano” il personaggio immortale di Dracula (interpretato sulla scena da Giorgio Adamo), in una prospettiva di condivisone delle sofferenze dell’intera umanità.
In questa intervista, inoltre, Ario Avecone mette a confronto il modello produttivo italiano con quello inglese e si dichiara favorevole allo sviluppo di strategie d’investimento a favore della fruizione del teatro per il pubblico impossibilitato a raggiungere le grandi città.
Perché hai scelto il titolo “Vlad Dracula” e cosa si deve aspettare il pubblico?
Io credo che Vlad Dracula sia un po’ l’immagine del male, ma anche soltanto del “diverso”, che spesso fa paura (e magari non dovrebbe farne). Dal punto di vista iconografico, solitamente viene rappresentato in maniera piuttosto scontata, il nostro Vlad Dracula invece è un personaggio molto “umano” e si trova per la prima volta ad affrontare le stesse difficoltà dei comuni mortali. E’ una lettura sicuramente molto diversa rispetto all’opera di Bram Stoker, alla quale ci siamo comunque ispirati, ma è una versione moderna e strizza l’occhio alle trasposizioni cinematografiche più recenti. Non vi aspettate canini affilati o la bara che si apre: non c’è nulla di tutto questo.
Tutti i personaggi hanno una specifica caratterizzazione?
Sì, sono tutti molto delineati nei loro margini, hanno la loro evoluzione e una storia, che comincia e termina. Questo, secondo me, rende l’approccio del pubblico molto empatico nei confronti dei personaggi: ognuno di loro ha tanti difetti, che risultano evidenti al pubblico, ma percorrono molteplici strade per migliorarsi.
Il debutto è stato più volte rimandato a causa della pandemia: come ci si sente ad avere un lavoro pronto, senza poterlo portare in scena?
Lo spettacolo è stato rinviato ben due volte, ci siamo scontrati con i due maggiori picchi pandemici ed era sempre tutto pronto, ma ci siamo sempre dovuti fermare: questo che ha debuttato a Roma è il terzo cast che abbiamo formato! E’ stato un periodo molto duro, anche dal punto di vista produttivo, però ce l’abbiamo fatta, siamo riusciti a uscirne; da un certo punto di vista, la pandemia ha anche migliorato il nostro spettacolo, che io ho riscritto insieme con Manuela Scotto Pagliara, rendendolo ancora più incisivo: di questo dobbiamo essere contenti.
Qual è la difficoltà maggiore che hai incontrato sotto l’aspetto produttivo, nel corso della tua carriera?
Allestire uno spettacolo richiede investimenti mirati, da parte di un produttore. In Italia, fare una tournée costa tantissimo, perché viene messa in moto una macchina che spesso resta bloccata. Si tratta anche di un problema culturale: la gente non è pronta a spostarsi per vivere l’esperienza teatrale, bisogna compiere uno sforzo immane per convincere il pubblico ad andare a teatro… poi quando vengono sono contentissimi!
Hai portato in Italia lo spettacolo “Murder Ballad”, l’anno successivo al suo debutto nel West End: quali sono le differenze, in termini di reazione del pubblico, tra Londra e l’Italia?
Prima di portare lo spettacolo in Italia, l’ho visto nel West End e ho parlato con la produzione londinese. L’impatto sul pubblico è totalmente diverso, nel senso che in Italia siamo più abituati a vedere spettacoli che stimolano le emozioni e toccano il cuore delle persone; invece, il modo di fare produzione in Inghilterra è molto più preciso, schematico, si seguono protocolli per ogni cosa e questo secondo me è un grande vantaggio e dovrebbe essere un modello da importare anche in Italia. Nello specifico, il pubblico italiano ha risposto bene a Murder Ballad, uno spettacolo “off”, che però è stato in grado di raggiungere il cuore degli spettatori. Io personalmente amo il teatro cosiddetto “off-Broadway”.
Dal prossimo 15 febbraio la Royal Opera House di Londra diffonderà la propria stagione nei cinema di 20 Paesi del mondo: cosa pensi di questa modalità di diffusione dello spettacolo?
Io credo nel teatro a teatro, non credo nella distribuzione capillare del teatro digitale. Credo però che il settore dovrebbe aggiornarsi sotto questo punto di vista e dare anche la possibilità (magari a chi non vive nei grandi centri) di poter vedere grandi spettacoli al cinema entro breve tempo e non dopo 20 anni; potrebbe essere una modalità alternativa per incrementare gli introiti delle produzioni.
La nostra realtà produttiva si sta già muovendo in questa direzione, occupandosi di distribuzione di musical e altri spettacoli (ripresi e trasmessi in contemporanea all’evento teatrale) per chi, dalla provincia, non può arrivare nelle grandi città. L’esperienza ci dice che vedere uno spettacolo trasmesso in tv o al cinema non limiti il desiderio del pubblico di recarsi fisicamente a teatro, perché si tratta di due esperienze completamente diverse.